mercoledì 5 settembre 2012

L'ultima sfida di Frate Raul, il ribelle




Non capita tutti i giorni di assistere ad una messa dove l’altare si trasforma in dibattito politico, invettiva contro i Cartelli del Narcotraffico, il Governo, i politici locali corrotti e perfino contro gli stati del Sud dell’America e dove i possidenti vengono guardati sottecchi dai praticanti fissi: omosessuali, immigrati, tossicodipendenti schiavi dei grandi entourage malavitosi. 
L’ultima sfida è celebrare l’eucaristia con un grande striscione sotto o dietro l’altare con su la scritta “La Democrazia è morta” in appoggio alla grande protesta dell’opposizione messicana del Partito Rivoluzionario Democratico e del Movimento Giovanile YoSoy132 ed a tutti coloro che protestano contro la plateale truffa elettorale con minacce e compravendita di voti, smentita dalla sentenza del Tribunale Elettorale che ha confermato la vittoria alla presidenza del Messico del discusso Enrique Peña Nieto.
«Il primo impegno del nuovo presidente deve essere la trasparenza sulle elezioni appena svolte. Deve farlo, perché se ci sono compromessi con la criminalità organizzata, allora può dire addio alla sua buona volontà, perché alla fine prevarrà la malavita», ha detto il vescovo della Diocesi di Saltillo, invitando ad appoggiare tutti i giovani che stanno lavorando attivamente in ogni settore per favorire la verità, «perché solo la verità è nemica della violenza e può ristabilire in Messico uno stato di diritto».
José Raul Vera Lopez non è un alto prelato come tutti gli altri, ma un personaggio scomodo perfino per la Chiesa che lo ha messo sotto osservazione per aver mischiato troppo la politica con la fede e per il suo appoggio alle unione omosessuali ed al Foro per le Diversità Sessuali nella Diocesi dove tiene più volte colloqui, conferenze, incontri di sensibilizzazione ed ovviamente celebrazioni oltre che alle posizioni più aperte perfino sull’aborto nei duri casi di violenza verso le donne messicane.
Ma lui non può proprio farne a meno, da combattivo frate domenicano quale è sempre rimasto, modesto nello stile, ma carismatico ed autorevole nelle sue attività, notevole studioso di teologia a Roma e Bologna ma pronto a sporcarsi le mani per accogliere e nascondere immigrati clandestini e difendere le comunità autoctone come già fece come coadiutore di Samuel Ruiz, il compianto vescovo degli indios, decisivo nell’opera di pacificazione nel Chiapas con l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Per tutte queste cose è stato lodato nel mondo, dove ha ricevuto il Premio Rafto per la Pace nel 2010 (una sorta di fratello minore del Nobel) ma resta contestato ed incompreso in Messico dove una parte nutrita della sua Chiesa più ortodossa e tradizionalista ha fatto rimostranza nelle alte sedi, accusandolo di non essere cattolico. Eppure Vera Lopez, voluto da Giovanni Paolo II come coraggioso vescovo nelle terre di frontiera non si è mai arreso perché come dice il suo motto «un pastore incoraggia sempre il popolo che cammina». 

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