Non capita tutti i giorni di assistere ad una messa dove
l’altare si trasforma in dibattito politico, invettiva contro i Cartelli del
Narcotraffico, il Governo, i politici locali corrotti e perfino contro gli
stati del Sud dell’America e dove i possidenti vengono guardati sottecchi dai
praticanti fissi: omosessuali, immigrati, tossicodipendenti schiavi dei grandi
entourage malavitosi.
L’ultima sfida è celebrare l’eucaristia con un grande
striscione sotto o dietro l’altare con su la scritta “La Democrazia è morta” in
appoggio alla grande protesta dell’opposizione messicana del Partito
Rivoluzionario Democratico e del Movimento Giovanile YoSoy132 ed a tutti coloro
che protestano contro la plateale truffa elettorale con minacce e compravendita
di voti, smentita dalla sentenza del Tribunale Elettorale che ha confermato la
vittoria alla presidenza del Messico del discusso Enrique Peña Nieto.
«Il primo impegno del nuovo presidente deve essere la
trasparenza sulle elezioni appena svolte. Deve farlo, perché se ci sono
compromessi con la criminalità organizzata, allora può dire addio alla sua
buona volontà, perché alla fine prevarrà la malavita», ha detto il vescovo
della Diocesi di Saltillo, invitando ad appoggiare tutti i giovani che stanno
lavorando attivamente in ogni settore per favorire la verità, «perché solo la
verità è nemica della violenza e può ristabilire in Messico uno stato di
diritto».
José Raul Vera Lopez non è un alto prelato come tutti gli
altri, ma un personaggio scomodo perfino per la Chiesa che lo ha messo sotto
osservazione per aver mischiato troppo la politica con la fede e per il suo
appoggio alle unione omosessuali ed al Foro per le Diversità Sessuali nella
Diocesi dove tiene più volte colloqui, conferenze, incontri di sensibilizzazione
ed ovviamente celebrazioni oltre che alle posizioni più aperte perfino
sull’aborto nei duri casi di violenza verso le donne messicane.
Ma lui non può proprio farne a meno, da combattivo frate
domenicano quale è sempre rimasto, modesto nello stile, ma carismatico ed
autorevole nelle sue attività, notevole studioso di teologia a Roma e Bologna
ma pronto a sporcarsi le mani per accogliere e nascondere immigrati clandestini
e difendere le comunità autoctone come già fece come coadiutore di Samuel Ruiz,
il compianto vescovo degli indios, decisivo nell’opera di pacificazione nel
Chiapas con l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Per tutte queste cose è stato lodato nel mondo, dove ha
ricevuto il Premio Rafto per la Pace nel 2010 (una sorta di fratello minore del
Nobel) ma resta contestato ed incompreso in Messico dove una parte nutrita
della sua Chiesa più ortodossa e tradizionalista ha fatto rimostranza nelle
alte sedi, accusandolo di non essere cattolico. Eppure Vera Lopez, voluto da
Giovanni Paolo II come coraggioso vescovo nelle terre di frontiera non si è mai
arreso perché come dice il suo motto «un pastore incoraggia sempre il popolo
che cammina».
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