La battaglia delle promesse sta
sortendo ottimi effetti elettorali in Venezuela, ma come sempre accadde
ovunque, le promesse sono nemiche della grande finanza e siccome Hugo Chavez è
nella lista degli antipatici e spende a spande alla grande, il 2013 si annuncia
in salita con svalutazione monetaria e minacce di recessione o forte
regressione di crescita, ma andiamo con ordine.
Molti giornalisti hanno definito
la campagna elettorale per la presidenza «brutale» e per fortuna non per la
violenza, che sembra essere di gran lunga smorzata rispetto alle aspettative ma
per l’incredibile tour de force di
tutti i candidati, bagni di folla intervallati da proteste anche plateali,
lanci di uova ed impegni al rialzo sulla sicurezza (Caracas è una delle città
più violente del continente), sui programmi sociali (edilizia popolare anche
per le classi medie) e su economia ed energia (promesse di distretti
industriali e di nuovi incentivi energetici).
Da una parte il solito super Hugo
Chavez, meno super delle scorse volte per via di un tumore alla prostata ma
esteso che lo ha costretto a lunghe soste e ad un massiccio utilizzo dei suoi
cavalli di battaglia mediatici: la televisione, in particolare Telesur, facebook
e twitter con il suo aggiornatissimo #chavezcandanga, dall’altra il golden boy
Henrique Capriles, candidato unico delle opposizioni, fra i dieci politici più
affascinanti del mondo, appoggiato da Mario Vargas Llosa e dal più noto
giornalista venezuelano Teodoro Petkoff.
Proprio il Nobel qualche mese fa
ha dato per vincente Capriles in caso di elezioni libere, ma se è vero che i
sondaggi ormai sbandano ovunque, è difficile pensare che si possa sbagliare di
12,5 punti percentuali, perché tali sono quelli che dividono Chavez, al 46,8%
da Capriles in aumento al 34,3%, un divario quasi irrecuperabile, anche perché
il presidente governa a suon di concessioni e non si fermerà almeno fino alla
soglia delle elezioni.
Il costo c’è e si inizia già a
vedere. La spesa pubblica è stata aumentata del 34% nell’ultimo semestre rispetto
ad un anno fa e l’inflazione sta galoppando fino alla cifra record reale del
27%. Il debito esterno è alto ma ancora gestibile a 95,6 miliardi di dollari
mentre quello interno è volato fino a 57 miliardi di dollari con un incremento del
47% del PIL a fine anno. Per giunta, nonostante il prezzo del petrolio alle
stelle il Venezuela produce ma non riesce a vendere tutto ed il Brasile lo ha
perfino superato e l’obiettivo di 5 milioni di barili al giorno è lontano (il
paese è fermo a 3 milioni).
Colmo dei colmi: il paese con
maggiori riserve petrolifere soffre di carenza di gas e continui collassi
energetici e rischia di diventare un paese importatore. Sono in molti a credere
che chiunque vinca, proporrà la dura stagione dell’austerity dal 2013, ma è
certo che se dovesse vincere Chavez, la finanza internazionale non lo
perdonerebbe e condannerebbe il paese ad un durissimo periodo di restrizioni
finanziarie, salvo l’aiuto della Cina.
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