mercoledì 29 agosto 2012

Non solo Pussy Riot: quando la musica sfida il potere



Musica è libertà, un binomio a volte inscindibile ma al tempo molto scomodo, perché quando il potere non riesce ad utilizzare artisti e cantanti come sponsor, trova in loro un avversario più pericoloso di mille opposizioni e li trasforma in vittime di repressioni e censure
Nei giorni scorsi è toccato al gruppo musicale punk russo delle Pussy Riot, subire una ingiusta e condanna a due anni di reclusione per la loro preghiera anti-Putin nella Chiesa di Cristo Salvatore a Mosca e portare di nuovo alla luce il peso della musica unita alla satira o alla semplice denuncia politica, ma è sempre stato così specie dove l’arroganza del potere sottovaluta l’impatto di un simbolo del genere dall’America Latina all’Africa.
I primi esempi furono Miriam Makeba, “Mama Africa”, a cui venne revocata la cittadinanza sudafricana nel 1960, mentre la sua famiglia riceveva le visite della polizia segreta che chiedeva informazioni su un’eventuale rientro, mentre la sua musica fu bandita dal suo paese e chiunque la divulgasse era punito o incarcerato e Mercedes Sosa, inserita nella lista nera degli oppositori dopo il colpo di stato argentino del 1974, per poi essere arrestata nel 1978 ed esiliata con la censura totale. Ma c’è chi ha pagato con la morte le sfide al potere, come l’algerino Lounes Matoub ed il cileno Victor Jara.
Oggi la protesta prosegue e la repressione anche, e l’ultimo esempio è Cuba, dove soltanto qualche giorno fa è stato eliminato il bando verso le canzoni di Celia Cruz e Gloria Esteban e c’è chi, come Gorki Luis Aguila Carrasco, leader del gruppo rock Porno para Ricardo, apertamente critico verso il governo cubano, vedendo la vicenda delle tre ragazze russe rivede allo specchio la propria storia. «Sono solidale con le Pussy Riot perché la loro vicenda mi tocca personalmente», ha detto il leader del gruppo su facebook e su twitter. «Stessi politici tiranni, stessa intolleranza, stessi metodi. Putin e Castro prendono misure drastiche esemplari ma questo riflette solo la loro immagine di dittatori paurosi e disperati davanti alla forza di chi si batte per la libertà».
Già 2003 la polizia castrista impose al gruppo di cambiare nome, considerato volgare e contrario alla morale pubblica e pretese la modifica dei testi delle canzoni per eliminare gli espliciti riferimenti alla politica. Dopo il rifiuto di Aguila e colleghi alle direttive da parte dei musicisti, iniziò la vera e propria repressione. Nello stesso anno Gorki venne arrestato in virtù di una legislazione anti-droga, ma il processo cui fu sottoposto dibatté unicamente sulle iniziative controrivoluzionarie e l’utilizzo della musica rock per disordine sociale e si chiuse con la condanna a quattro anni.
Il leader del gruppo fu liberato dopo due anni in seguito ad una mobilitazione internazionale ma nel 2008 venne nuovamente processato per pericolosità sociale pre-delittuosa, accusa che si smontò e costò al cantante un’ammenda salata. Arresti, confische, minacce ed aggressioni sono all’ordine del giorno per Gorki, Ciro, Hebert e Renay come lo sono per Maria, Yekaterina e Nadezhda e l’unica forza è nel web come megafono del dissenso ed in fondo la fortuna delle Pussy Riot è che sulla Russia ci sono più occhi.
 

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