In tempi in cui la fiducia verso
la politica è globalmente ai minimi
storici e ci sono primi ministri che predicano sobrietà e crescita ma non hanno
rinunciato a neppure uno dei loro tanti benefici e vitalizi accademici e
politici, non dovrebbe suonare strana la proposta del Nobel per la Pace 2012 al
presidente dell’Uruguay José Mujica.
Nei giorni scorsi è bastato il
tam-tam internazionale nel web sul capo di governo più povero del mondo, per
giunta in uno dei paesi più ricchi del continente latinoamericano e tacciato di
essere un sicuro paradiso fiscale, con l’elenco delle operazioni benefiche dell’attuale
leader uruguayano per avviare la campagna su Facebook ed altri social network e
promossa dal filosofo Edoardo Sanguinetti (da non confondere con lo scomparso
poeta genovese) in un lungo editoriale su El Pais uno dei maggiori quotidiani
del paese.
La proposta, in realtà, non è
nuova. Già nel 2010 Mujica figurava fra i candidati al Nobel per la sua totale
trasformazione politica, da leader dei ribelli del Movimento di Liberazione
Tupamaro a capo di una unita coalizione di sinistra, il Frente Amplio che
governa il paese dal 2005 e che quando gli fu chiesto di abolire le leggi di
amnistia e pacificazione rispose, pur in dissenso con molti nel suo partito di
non volere né vendette, né vecchi prigionieri.
È l’unico presidente che ancora
oggi si rifiuta di abitare nel palazzo presidenziale ma continua vivere con la
moglie Lucia Topolansky nella sua vecchia tenuta fuori Montevideo, ha un
patrimonio totale quantificato in 163mila euro, con una rendita mensile di
10mila euro, il cui 90% viene destinato a progetti di aiuto umanitario, tenendo
per sé ciò che gli occorre più una vecchia Volkswagen che usa per recarsi al
lavoro.
Quest’anno Mujica ha aperto le
porte del palazzo presidenziale come rifugio per indigenti per tutto il periodo
invernale ed ha dichiarato altresì di voler donare parte della sua liquidazione
pensionistica a fondi e movimenti che si occupano di progetti di solidarietà e
di voler tornare a vivere come un comune cittadino senza ulteriori impegni
politici, né arricchimento personale. Una scelta a dir poco degasperiana, in un’epoca
dove la politica, anche in America Latina è un lavoro fisso e redditizio.
Nelle ultime settimane diversi
Premi Nobel, fra cui Mario Vargas Llosa, si sono congratulati con Mujica per la
sua coraggiosa scelta di statalizzare e controllare la vendita delle droghe
leggere per eliminare, la violenza e il denaro sporco che circola nel paese a
causa del narcotraffico. «Qualcuno
deve essere il primo, perché stiamo perdendo la battaglia contro la droga ed il
crimine nel continente. Lo faccio per i giovani, perché i modi tradizionali di
affrontare questo problema hanno fallito», ha detto Mujica. Quanto basta non per il Nobel ma per
diventare un’icona mondiale.
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