martedì 21 agosto 2012

La vera sobrietà di Mujica vale un Nobel?




In tempi in cui la fiducia verso la politica è  globalmente ai minimi storici e ci sono primi ministri che predicano sobrietà e crescita ma non hanno rinunciato a neppure uno dei loro tanti benefici e vitalizi accademici e politici, non dovrebbe suonare strana la proposta del Nobel per la Pace 2012 al presidente dell’Uruguay José Mujica.

Nei giorni scorsi è bastato il tam-tam internazionale nel web sul capo di governo più povero del mondo, per giunta in uno dei paesi più ricchi del continente latinoamericano e tacciato di essere un sicuro paradiso fiscale, con l’elenco delle operazioni benefiche dell’attuale leader uruguayano per avviare la campagna su Facebook ed altri social network e promossa dal filosofo Edoardo Sanguinetti (da non confondere con lo scomparso poeta genovese) in un lungo editoriale su El Pais uno dei maggiori quotidiani del paese.

La proposta, in realtà, non è nuova. Già nel 2010 Mujica figurava fra i candidati al Nobel per la sua totale trasformazione politica, da leader dei ribelli del Movimento di Liberazione Tupamaro a capo di una unita coalizione di sinistra, il Frente Amplio che governa il paese dal 2005 e che quando gli fu chiesto di abolire le leggi di amnistia e pacificazione rispose, pur in dissenso con molti nel suo partito di non volere né vendette, né vecchi prigionieri.

È l’unico presidente che ancora oggi si rifiuta di abitare nel palazzo presidenziale ma continua vivere con la moglie Lucia Topolansky nella sua vecchia tenuta fuori Montevideo, ha un patrimonio totale quantificato in 163mila euro, con una rendita mensile di 10mila euro, il cui 90% viene destinato a progetti di aiuto umanitario, tenendo per sé ciò che gli occorre più una vecchia Volkswagen che usa per recarsi al lavoro.

Quest’anno Mujica ha aperto le porte del palazzo presidenziale come rifugio per indigenti per tutto il periodo invernale ed ha dichiarato altresì di voler donare parte della sua liquidazione pensionistica a fondi e movimenti che si occupano di progetti di solidarietà e di voler tornare a vivere come un comune cittadino senza ulteriori impegni politici, né arricchimento personale. Una scelta a dir poco degasperiana, in un’epoca dove la politica, anche in America Latina è un lavoro fisso e redditizio.

Nelle ultime settimane diversi Premi Nobel, fra cui Mario Vargas Llosa, si sono congratulati con Mujica per la sua coraggiosa scelta di statalizzare e controllare la vendita delle droghe leggere per eliminare, la violenza e il denaro sporco che circola nel paese a causa del narcotraffico. «Qualcuno deve essere il primo, perché stiamo perdendo la battaglia contro la droga ed il crimine nel continente. Lo faccio per i giovani, perché i modi tradizionali di affrontare questo problema hanno fallito», ha detto Mujica. Quanto basta non per il Nobel ma per diventare un’icona mondiale.


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