domenica 19 agosto 2012

Asilo ad Assange: forse l'Ecuador ci ripensa


Sul caso Assange dopo la rabbia e la sfida arrivano i toni bassi sia da parte dell’Ecuador che da parte della Gran Bretagna, entrambi ben consapevoli che la situazione, in mancanza di dialogo, non potrà sbloccarsi e che forse il paese sudamericano con una positiva pressione dell’UE su Unasur ed Organizzazione degli Stati Americani potrebbe anche cambiare idea.

Il presidente ecuadoriano Correa nei giorni scorsi ha garantito che l’Ecuador, essendo un paese neutrale e non vincolato da convenzioni ed accordi con gli Usa e con altri paesi europei in materia, non procederà ad alcuna estradizione di Assange, una volta nel territorio del paese sudamericano, ma il problema è arrivarci, visto che in qualunque modo Assange esca potrebbe essere comunque prelevato dalla polizia inglese, sia fuori dall’Ambasciata che in aeroporto, cosa su cui il paese andino non può garantire.

D’altro canto Cameron ha invitato specialmente il Foreign Office a mantenere la calma ed a ridimensionare anche il riferimento all’ormai famigerata normativa del 1987 sulla sospensione dell’immunità diplomatica per favorire la cattura di personalità che abbiano compiuto reati e siano fuggite sotto arresto in ambasciata, in riferimento a ciò che accadde nel 1984 quando una poliziotta inglese Yvonne Fletcher venne uccisa con un colpo sparato dall’Ambasciata libica.

Insomma l’Ecuador è pronto a trattare ed è disposto a rilasciare Julian Assange nelle mani delle autorità britanniche a patto che la Svezia, paese in cui sarebbe estradato il giornalista australiano ed in cui è indagato per una presunta violenza sessuale, non proceda ad un ulteriore estradizione negli Usa ma la Svezia si è ritenuta addirittura offesa e per bocca del suo primo ministro Reinfeldt ha difeso l’indipendenza del sistema giudiziario svedese nell’attesa di conoscere gli sviluppi del caso diplomatico.

Per giunta il paese sudamericano vedrà saltare il rinnovo dell’Andean Trade Preference Act con gli Usa che scade nel 2013 perché l’asilo accordato a Julian Assange (su cui c’è chi nutre dei dubbi perché si pensa che il paese e lo stesso Assange stiano bluffando) è l’ultima goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno sia con l’espulsione dell’ambasciatrice americana a Quito Heather Hodges, che con la condanna al pagamento di 19 miliardi di dollari alla Chevron per la contaminazione nella zona amazzonica del paese, con il conseguente rifiuto di Correa a pagare i danni alla compagnia petrolifera come imposto da un tribunale arbitrale.

Gli Usa restano ancora il primo partner del paese nella bilancia commerciale delle importazioni, con il 25,3% delle merci importate, che nelle esportazioni, soprattutto di prodotti alimentari con il 33,5% del totale, senza considerare le numerose multinazionali che vi operano ed è più che scontato che il paese sudamericano (per cui è prevista una crescita al 6% quest’anno, una delle più grandi dell’area)  cerchi sostegno negli altri paesi, in particolare nell’ALBA, per bilanciare eventuali perdite di vantaggi, salvo ripensamenti, che oggi sembrano possibili. 

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